Mercoledì 28 Novembre 2012 00:00

L'idiota di Dostoevskij - sulla pena di morte

Scritto da  nsr
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- Uhm! E voi siete stato a lungo all'estero? - Sì, per quattro anni. Però sono quasi sempre rimasto nello stesso posto, in campagna.
- E vi siete disabituato alla nostra vita?
- E' vero, lo credereste? Mi meraviglio persino di non aver dimenticato la lingua russa. Ecco, parlando con voi, ora penso: «Come parlo bene!». Ed è forse per questo che parlo tanto. Da ieri, vi assicuro, ho sempre voglia di parlare.
- Già, già. Abitavate a Pietroburgo prima?
Per quanto il domestico tentasse, non era possibile interrompere una conversazione così gentile e cortese.
- A Pietroburgo? Quasi mai, se non di passaggio. Anche allora non sapevo nulla della Russia e ora, a quanto si sente dire, vi sono molte novità, tanto che anche chi conosceva la città, deve imparare tutto da capo. Qui si parla molto in questi giorni delle istituzioni giudiziarie (1).
- Uhm! Già, dei tribunali. Sì, è vero che ci sono nuove istituzioni giudiziarie. E i tribunali di laggiù sono più giusti di quelli di qui?
- Non so. Dei nostri ho sentito parlare molto bene. Per esempio, da noi non esiste la pena di morte (2).
- E laggiù ci sono esecuzioni capitali?
- Sì, assistetti a una a Lione, in Francia. Mi ci aveva condotto Schneider.
- Impiccano?
- No, in Francia tagliano la testa.
- E gridano?
- Macché! E' una cosa di un attimo. L'uomo viene disteso sopra un'asse e da una macchina, che chiamano ghigliottina, scende con forza un pesante, largo coltello. La testa schizza via in un batter d'occhio. Ma i preparativi sì, sono penosi. Quando leggono la sentenza, quando vestono il condannato e lo legano e lo fanno salire sul patibolo, allora è veramente una cosa terribile! La gente accorre a vedere e vi accorrono persino le donne, sebbene laggiù non approvino che le donne assistano a tali spettacoli.
- Non è certo cosa da donne.
- Naturalmente, naturalmente! Assistere a una simile tortura! Il colpevole, che si chiamava Legros, era un uomo intelligente, forte, coraggioso, nel fior degli anni. Ebbene, che ci crediate o no, vi dico che mentre saliva sul patibolo piangeva ed era bianco come un cencio. E' mai possibile? Non è forse un orrore? Chi può piangere per la paura? Io non credevo che, non dico a un bambino, ma a un uomo che non ha mai pianto, a un uomo di più di quarant'anni, la paura potesse strappare le lacrime! Che cosa avviene dell'anima in quei momenti, in quali spasimi essa sarà gettata? E' un delitto contro l'anima, niente altro! E' stato detto: «Non ammazzare», e così, perché un uomo ha ucciso, bisogna uccidere anche lui? No, non è lecito. E' già passato un mese dacché ho assistito a quello spettacolo, eppure l'ho sempre davanti agli occhi. E me lo sono sognato cinque volte.

Il principe, parlando, si era animato, e un leggero rossore gli coloriva il viso pallido, benché la sua voce fosse calma come al solito. Il domestico lo seguiva con vivo interesse, tanto che pareva non volesse staccarne lo sguardo; forse era anche lui un uomo dotato di fantasia e di tendenza a meditare.
- Almeno, - osservò - non si soffre quando la testa salta via.


idiota, dostoevski, pena di morte, yuri-yakovlev- Sapete che vi dico? - rispose il principe con calore. - Tutti la pensano come la pensate voi, ed è per questo che hanno inventato la ghigliottina. Ma a me, mentre assistevo a quell'orribile spettacolo, venne da chiedermi: e se la sofferenza fosse invece anche peggiore? Questo probabilmente vi sembrerà assurdo e ridicolo, ma con un po di fantasia si può anche pensare che sia così.

Immaginate, per esempio, un uomo messo alla tortura: ci sono sofferenze e ferite, c'è il tormento fisico e forse tutto questo distrae dal dolore morale, cosicché si soffre soltanto per le ferite sino a quando non si muore. Ora, può darsi che il tormento più grande non sia quello causato dalle ferite, ma dal sapere con certezza, ecco, che tra un'ora, poi tra dieci minuti, poi tra un attimo l'anima abbandonerà il corpo e tu non esisterai più come uomo, cosa questa ormai certa; l'essenziale è questa certezza.

Ecco, quando metti la testa sotto la mannaia e la senti, e senti che sta scivolando sopra il tuo capo, ecco è questo il quarto di secondo più terribile di tutti. E questo, sapete, non è frutto della mia immaginazione, ma molti la pensano come me. Io ne sono così convinto che vi esporrò francamente il mio modo di pensare.

Uccidere chi ha ucciso è un delitto incomparabilmente più grande del delitto stesso. L'omicidio, ordinato da una sentenza, è molto più atroce che non l'omicidio del malfattore. Colui che viene assalito dai briganti e sgozzato di notte in un bosco o in qualsiasi altro modo, sino all'ultimo istante spera certamente di salvarsi. Ci sono esempi di persone che, con il coltello già piantato in gola, speravano ancora, o fuggivano o chiedevano pietà.

Ma nel caso della ghigliottina, questa estrema speranza, che rende la morte dieci volte più lieve, viene radicalmente soppressa; qui esiste una sentenza, esiste la certezza dell'impossibilità di sfuggirle, e questa certezza è di per se stessa un supplizio peggiore di qualsiasi altro.

Mettete un soldato di fronte alla bocca di un cannone in combattimento; nel momento in cui vi accingete a sparare, egli avrà ancora un filo di speranza, ma leggete a questo soldato la sentenza che lo condanna irrimediabilmente ed egli diventerà pazzo o scoppierà in pianto. Chi ha mai detto che la natura umana è in grado di sopportare una tale atrocità senza impazzire? Perché una simile crudeltà inutile, mostruosa e vana? Ma forse esiste anche un uomo al quale, dopo aver letto la sentenza di morte e dopo avergli lasciato un po di tempo per torturarsi in preda al terrore, si dica: «Vattene, sei graziato!». Ecco, quest'uomo potrebbe forse descrivere ciò che si prova (3).
Anche il Cristo ha parlato di questo orrore e di questa terribile tortura. No, non è lecito trattare così un essere umano!

 

 

Nota 1. A conclusione della riforma giudiziaria del 1864, i vecchi tribunali di classe furono sostituiti da tribunali comuni per tutte le classi. Nei nuovi tribunali, a differenza di quelli precedenti la riforma, le sedute si svolgevano a porte aperte, con la partecipazione di giurati e di avvocati. I resoconti dei processi venivano pubblicati nei giornali. Secondo la testimonianza di Anna Grigorevna Dostoevskaja, moglie dello scrittore, «nell'inverno del 1867, Fëdor Michàjlovitch si interessò vivamente dell'attività dei tribunali per giurati, da poco istituiti; a volte si entusiasmò e si commosse per le loro giuste e ragionevoli sentenze e sempre mi comunicò tutto ciò che veniva pubblicato dai giornali e che si riferiva alla vita giudiziaria».

Nota 2. La pena di morte era stata abolita nel 1753-1754, ma ben presto fu ristabilita come massima pena per i delitti politici, militari e alcuni altri. Negli anni '60, a seguito dell'aumento di moti rivoluzionari, essa fu applicata alcune volte. Non molto tempo prima della partenza per l'estero di Dostoevskij, fu, per esempio, impiccato Karakozov. Dostoevskij, affermando che in Russia «non» esisteva la pena di morte e riferendo che il principe Myshkin aveva assistito a un'esecuzione capitale soltanto all'estero, voleva probabilmente prevenire l'intervento della censura in quelle pagine del romanzo nelle quali sono esposti i punti di vista del principe sulla pena di morte.

Nota 3. Dostoevskij parla qui, anzitutto, di sé e degli altri compagni implicati nel processo Petrascevskij, ai quali la pena di morte fu tramutata in esilio soltanto dopo che, ascoltata la sentenza, erano pronti per la fucilazione. Dostoevskij venne poi a sapere che anche altri condannati furono sottoposti a una simile barbara esperienza.

 

 

 

Libro

Fëdor Dostoevskij, L'idiota, (titolo originale: ?????, 1868)
Edizioni di Stato di Mosca, 1956-1958, traduzione di Giacinta De Dominicis Joriotrad.
Copyright EDIZIONI PAOLINE, Roma 1981.
Last modified on Martedì 07 Maggio 2013 16:54

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