Era possibile, scorrendo alcune riviste, tedesche e francesi, dalla seconda metà dell’ottocento in poi, imbattersi in qualche pagina finale dove facevano capolino dei disegni contrassegnati dall’esplicito segno delle forbici: sagome da ritagliare per ampliare il raggio d’interesse del foglio stampato anche agli appassionati del bricolage manuale, allora molto più di oggi diffuso.
Si sa, ad esempio, come su riviste marittime germaniche vi fossero i primi cartamodelli da ritagliare per costruire ex-tempore, senza il (troppo) impegno necessario per un vero veliero di legno in scala, dei vascelli completi di alberi a vele spiegate e di marinaretti di equipaggio.
Questi cartamodelli avevano gli elementi già stampati per ridurre il numero delle parti da incollare, ad esempio i tre alberi d’un clipper dalla bella prua affilatissima erano in realtà fogli a forma d’un curioso e sommario trapezio perché in unico insieme colle vele spiegate, in modo da non far passare troppo tempo al bravo lettore prima che veda il suo veliero di carta campeggiare sul tavolo, perfetto nella sua tridimensionalità come un vero modello di legno.
Dal 1874 addirittura l’editoria tedesca, incoraggiata dal successo dei cartamodelli su riviste, proponeva libri in forma a leporello dai quali ritagliare e costruire vascelli sempre più dettagliati: con fumaioli, è l’epoca del vapore!, ruote a pale, eliche, vele spiegate e scialuppe di salvataggio…
E, per dire della fedeltà dei lettori, un libretto con cartaveliero da costruire veniva ristampato ininterrottamente dal 1874 al 1934!
Mi domando di dove sia potuta nascere l’idea ai fantasiosi editori d’ottocento per questo strano mondo dove coraggiosi ufficiali delle marine civile e militare bismarckiana o bretone si avventurano nel montaggio di questi cartavelieri, plausibilmente di fronte agli occhi attentissimi dei figli che aspettano il momento di poter giocare col piccolo vascello. Né trascuro l’ipotesi, in realtà per me un fatto certo, che vi sia stato un qualche lettore che abbia incerato in un qualche modo lo scafo per renderlo impermeabile e far navigare il cartaveliero, come si fa colle barchette di carta però senza condividerne l’effimero destino…
Da dove può esser venuta l’idea?
Arrischio una deduzione che mi viene dalla lettura delle belle pagine di un grande scrittore quale è Mario Praz: nella sua “casa della vita” a Roma, l’Autore aveva in una striscia di parete fra due porte un po’ in penombra trovato del posto per appendere delle pagine incorniciate con raffigurati i soldati delle guerre napoleoniche nelle sgargianti livree di colori delle loro divise. Le pagine davano, scrive Praz, un “gaio vedere” grazie ai colori e al clima di epopea che esse ricordavano.
Tratte da un libro ottocentesco stampato in cromolitografia, o forse già acquerellate dall’editore se di epoca immediatamente precedente, le pagine con le figurine di soldati si possono facilmente immaginare, ma trovo in rilievo maggiore la circostanza di finire incorniciate in una piccola parete d’una casa dalle splendide collezioni di mobili ceramiche, quadri e libri del neoclassico! In quel grazioso “gaio vedere” è la causa, per quei soldatini, d’aver trovato una collocazione fra opere d’arte (e nelle pagine d’una bella letteratura) che nobilita per estensione anche i cartavelieri tedeschi…
Che qualcuno abbia ritagliato i soldatini dalle loro tavole e ne abbia flesso la base in modo da farli stare eretti su di un tavolo è un passo quasi obbligato anche a chi proprio non è abituato ad usare la fantasia, ma il passo successivo e importante per la nostra storia deve averlo compiuto chi ha voluto immergere la figurina nel suo paesaggio di tempesta eroica, assemblando i ritagli di carta in casette diroccate, alberi, cannoni e, animando lo sfondo con un veliero in fuga lontana…
Da qui ai vascelli di carta delle riviste tedesche è un passo che si fa da sé, avendo una rivista marittima con un cospicuo numero di abbonati, in Amburgo o Stettino o Kiel, che possiamo immaginare in parte intenti a spiegare ai figli quali sono gli elementi della nave che solca i mari…
Quanto alla possibile filosofia dei diorami in carta, con architetture, figurine, cavalli e bastimenti non vi è qui la necessità di approfondirla, un buon sunto di essa, ideale per estensioni ulteriori è dato, ancorchè in forma implicita, dal Dostoevskij in alcune pagine del romanzo “I dèmoni” con il bonario Andrei von Lembke che per estraniarsi dagli intrighi rivoluzionari della moglie non adolescente eppure scapestrata e dall’impossibilità di guarire i malanni atavici della burocrazia d’un impero, quello zarista, al suo tramonto si rifugia nella costruzione d’uno scenario di carta colorata dove lì, almeno, tutto possa procedere in ordine.
Uno scenario da fanciulli ma, in questo, davvero geniale: una stazione con treno e viaggiatori, un teatrino con orchestra, una chiesa riformata con i pii fedeli nel cortile esterno. Ovvero la rinascita di un mondo che la fantasia del paziente modellista immagina riportato alla sua età dell’oro, dove tutto, anche la macchina, è di nuovo ingenuo e come riapprossimato alla propria benaugurale idea platonica…
Come sia potuta affiorare nel genio del grande Russo la figurina del germanico governatore e modellista è, e lo si può credere senza troppa fatica, dato dai lunghi soggiorni nelle piccole e grandi capitali della allora Confederazione germanica dove è certo possibile che Dostoevskij già allievo dell’Accademia di architettura in Pietroburgo, e per questo attento alle “costruzioni”, sia stato incuriosito e divertito proprio dalle riviste con i cartamodelli più vari ai quali avrà associato con studi in loco la psicologia adeguata ritratta poi in quella del buon von Lembke…
Del passato non mai soppresso di aspirante architetto del Russo se ne hanno continue prove se si ha la avventurosa coincidenza di poter ammirare molte delle sue pagine manoscritte, costellate di schizzi e disegni che mostrano una mano felice ed esperta degli ordini e delle proporzioni.
Ma, qui, termino e lascio al lettore di immergersi nell’ardua ma eccezionale lettura del grande Russo e mi permetto rivolgere un invito che so che apparirà gradito ai bibliofili (e alle ricerche degli internauti):