Per i contemporanei di Ivan Kramskoj e anche per le generazioni successive si dava quasi per scontato che l'artista fosse ateo. La frase stessa di Kramskoj "Cristo è ateo" non potrebbe far pensare diversamente. Però proprio questa affermazione contraddittoria induce a pensare che non era tutto così semplice. Il Cristo di Kramskoj dicevano che rappresentasse un rivoluzionario, la metafora dell'uomo contemporaneo a Kramskoj, un razno?inec che raccoglieva le proprie forze per prendere la giusta decisione, che si preparava a combattere sapendo già che cosa lo aspettava: la prigione, la persecuzione, la morte.
Tale caratteristiche però ne fanno risalire in mente un'altra opera, di preciso una statua di marmo, Cristo davanti alla folla (1874), di un artista russo contemporaneo a Kramskoj, M. M. Antokol'skij (1843-1902), uno scultore di grande talento che riusciva nei suoi ritratti scultorei a trasmettere tutta la complessità psicologica dei suoi personaggi. Antokol'skij aveva realizzato in quest'opera Cristo legato, a mani giunte ma con la testa alta, con la convinzione di un rivoluzionario, tutta la sua figura esprime la forte volontà, la prontezza di svolgere fino in fondo il compito che gli era stato assegnato. Il Cristo di Antokol'skij richiama a sua volta un'altra opera di un altro grande pittore, Ilja Repin (1844-1930), che dipinse nel decennio successivo L'arresto del propagandista (1880-92). L'opera rappresenta il momento dell'arresto di un rivoluzionario che non si dimostra minimamente debole, ma determinato e forte. Il suo volto esprime la decisione e prontezza di morire per la giusta causa. A questo punto sorge una domanda? Cosa ne pensava veramente Kramskoj a proposito di Cristo? Aveva in mente Kramskoj questo tipo di persona quando dipingeva il suo Cristo? Forse no, oppure, non solo questo tipo di persona. Infatti, quando Repin, allievo e amico di Kramskoj, aveva scritto a proposito dell'opera di Antakol'skij Cristo davanti alla folla, che questo era il Cristo del XIX secolo, Kramskoj si era espresso divagando, in modo insicuro e dubbioso, ma comunque nel profondo del cuore convinto, che gli uomini del XIX secolo non avevano ancora capito come era veramente il Cristo del XIX secolo.
Tornando all'opera Cristo nel deserto si può affermare che in quest'opera c'era anche dell'altro, tranne un uomo combattente e un rivoluzionario. C'era il conflitto interiore dell'uomo di "un secolo miscredente e dubbioso", come aveva detto di se stesso il contemporaneo di Kramskoj, Fiodor Dostoevskij (1821-1881), uno dei più grandi scrittori russi di tutti i tempi. Una strana coincidenza che l'opera di Kramskoj Cristo nel deserto fu esposta nello stesso anno in cui fu esposto il quadro di Vasilij Perov (1834-82), il Ritratto di F. Dostoevskij (1872). Nel modo di rappresentare queste due figure: Cristo e lo scrittore-pensatore, si avverte una somiglianza sconcertante. Entrambi immersi nel propri pensieri, pieni di dubbi e di sofferenza interiore. La metafora dell'uomo contemporaneo è anche in questi uomini, che si interrogavano sull'ateismo e sul significato di Cristo. Dostoevskij fu probabilmente il rappresentante più significativo del dualismo interiore, che turbava l'uomo russo del XIX secolo, il quale si riversava nel dubbio esistenziale: la lotta tra l'ateismo e la fede in Cristo.
Kramskoj si interroga molto sull'ateismo e su Cristo. Nelle sue lettere ci sono tanti profondi pensieri dedicati alla figura di Cristo e all'importanza che ebbe nella storia dell'umanità, le riflessioni che spesso nascevano dalla necessità di spiegare al suo interlocutore epistolario il significato vero della sua opera Cristo nel deserto. Ma anche negli anni successivi i pensieri su questa figura emergono dalle lettere di Kramskoj.
Non bisogna dimenticare che Kramskoj era influenzato dalle idee positiviste e come un tipico razno?inec era un vero realista rivolto a combattere qualsiasi diffusione della superstizione, che considerava l'ignoranza umana – la piaga sociale del popolo russo. Il termine "ateismo" ed "ateo" si incontrano spesso nelle lettere di Kramskoj in cui parla di Cristo, e la frase "Cristo è uomo che ha ucciso Dio dell'Universo" è assai significativa.
Le numerose e accese discussioni tra Kramskoj ed il suo allievo Il'ja Repin sull'argomento dell'ateismo testimoniano quanto entrambi avessero a cuore questo tema ma Kramskoj in special modo. Egli insisteva sul fatto che Cristo fosse ateo, l'uomo più nobile e moralmente elevato che sia mai esistito, che traeva forza solo da se stesso. Però Repin non capiva a fondo il vero significato del presunto ateismo di Cristo.
Secondo Kramskoj, egli aveva in mente un tipo di ateo diverso da quello che intendeva lui. Quello che intendeva Repin era un ateo comune, che si basava sui ragionamenti scientifici o razionali, quel tipo di ateo, che, anche secondo Kramskoj, non era degno di Cristo. Invece quello che intendeva Kramskoj era un ateo "vero", un uomo di elevato senso morale che non cercava aiuto in Dio, ma confidava solo sulle proprie forze. Alquanto significativo è il fatto che Kramskoj, difendendo l'ateismo di Cristo, non usa la parola "bezbožnik" che tradotto letteralmente in italiano significa "uomo senza Dio" e nella lingua parlata russa assume un'accezione negativa: uomo senza morale, disonesto. Dal significato implicito, che nasconde la parola "bezbožnik", traspare un'opinione condivisa tra i russi a proposito degli atei, con la quale Kramskoj è costretto a fare i conti: ateo, quindi immorale perchè non teme Dio e il Suo giudizio. Per Kramskoj, invece, l'ateo era una persona altamente morale che si basava solo sulle proprie forze.
In quel periodo travagliato per la Russia, in cui visse Kramskoj, gli uomini di pensiero non potevano più tollerare l'ignoranza e l'oscurantismo, che regnava nel paese. Essi aspiravano a cambiamenti radicali sia nel campo politico che sociale e vedevano nella religione l'ostacolo principale per l'emancipazione e la civilizzazione del popolo russo. Nell'ignoranza del popolo gli intellettuali rimproveravano sopratutto la Chiesa ortodossa, che predicava l'obbedienza assoluta al padrone e la rassegnazione passiva al destino. Essi la accusavano di essersi allontanata dal vero messaggio di Cristo, ovvero, l'uguaglianza e la fraternità e di essere diventata "la schiava fedele del dispotismo", la quale nascondeva sotto il manto della religione la menzogna e l'immoralità. Il degrado dei costumi nel clero russo che si riscontrò nel XIX secolo aggiunse, al generale malcontento dell'intelligencija russa, altra rabbia e disgusto. Molti di loro erano cresciuti nella fede cristiano-ortodossa, con l'amore sincero verso Dio, ma persero la fede perchè non erano più capace di sopportare l'ingiustizia sociale intorno a loro e la bassezza d'animo che vedevano negli stessi ambienti cristiani ortodossi. Questi intellettuali diventavano atei e nichilisti perchè non potevano accettare il male, la menzogna e la sofferenza. La loro religione divenne la negazione radicale di ogni autorità; essi sconsacravano tutto: lo Stato, il Matrimonio, la Famiglia, la Religione, e sopratutto Dio - l'unico vero responsabile di tutto il male che c'era nel mondo.
Furono proprio queste persone che venivano chiamati "bezbožniki" (uomini senza Dio) dal popolo russo ortodosso, le persone che erano pronte a sacrificare loro stessi per il bene del popolo e si lasciavano condurre in prigione o al patibolo pur di perseguire i loro ideali, cercando di riuscire nella vita terrena, senza sperare nell'aiuto di Dio per un migliore aldilà. Un eminente filosofo del '900, Jacques Maritain (1882-1973), trovò invece un'altra definizione a questo tipo di persone. Nel suo studio approfondito sull'ateismo non trattò in particolare la questione russa, però la sua definizione sembra pienamente adeguata. Egli arrivò a definire alcuni atei - "pseudo-atei", questo perchè secondo lui essi nonostante dichiarano di non credere in Dio, in realtà credevano inconsciamente in Lui, perchè le loro scelte morali sono talmente oneste, per la loro dedizione al bene, all'altruismo e al sacrificio, che dimostrando in tutto il loro comportamento di essere moralmente elevati, scelgono il Bene assoluto, e quindi anche Dio, in cui credono senza saperlo. Questo gli crea però una frattura, scrive Maritain, una divisione interiore che porta ad una particolare fragilità. Quanto questa definizione si possa attribuire anche a Kramskoj è difficile dire però, alcune delle caratteristiche riscontrate da Maritain emergono anche in Kramskoj, ateo e positivista, che spesso aveva manifestato il suo dualismo senza volerlo. Questo dualismo si percepisce nel suo primissimo articolo, dedicato al grande pittore russo Aleksandr Ivanov (1806-1858).
Kramskoj aveva 21 anni quando aveva scritto L'opinione sulla pittura storica (Vzgljad na istori?eskuju živopis, 1858) in onore dell'artista da poco scomparso. Kramskoj era proprio tra quei giovani che rimasero colpiti dal potenziale del quadro di Ivanov l'Apparizione di Cristo alla folla (1836-'50). Nel suo articolo scrisse: "Con la tua morte, o nobile Ivanov, hai segnato la fine della pittura storico-religiosa nel modo che percepiva Raffaello." Nei pensieri del giovane Kramskoj espressi nell'articolo traspaiono l'amarezza e forse la nostalgia per la vecchia umanità, così presuntuosa come l'umanità a lui contemporanea. Kramskoj scrive nell'articolo che la gente non era più interessata, nel modo in cui fu interessato Ivanov a Cristo (uno dei tanti "geni che vissero sulla terra"). Egli scrive che "il pubblico oggi vive la vita da Fausto" e "non ha gli stessi elementi", cioè il vero sentimento di fede che aveva guidato Ivanov nella creazione della sua opera. L'uomo di oggi invece "è orgoglioso delle sue conoscenze", il suo Dio è un altro: la ragione e la scienza. Attraverso questa critica si percepisce la sofferenza del giovane artista. Secondo cui la causa dell'incomprensione dell'opera di Ivanov era stata proprio l'arroganza e la presunzione dell'uomo del suo tempo. In questo articolo si sente la nostalgia di Kramskoj per i tempi passati, quando la fede in Dio era ancora sincera. Egli si lamenta della presunzione dell'uomo contemporaneo che si era in realtà sostituito a Dio.
Un eminente critico e storico d'arte del '900, Aleksandr Benois, nonostante il fatto che non apprezzò l'opera di Kramskoj Cristo nel deserto, riuscì ad intravedere in Kramskoj il dualismo di carattere religioso, che pochi avevano segnalato, quindi merita di essere citato:
"Quando Garšin gli chiese che cosa volesse dire con il suo Cristo, lui gli rispose in un modo così ambiguo, confuso e vago che da quella spiegazione si poté dedurre solo una cosa, che Kramskoj non seppe in realtà neanche lui perchè si mise a fare un tema del genere e quale fosse il suo vero sentimento verso Cristo. Come una persona molto influenzata dalle idee positiviste lui ammetteva che il cristianesimo nel uturo sarebbe stato completamente superato, ma nello stesso tempo, avendo una tendenza inconscia al misticismo, credeva a volte nella natura divina di Cristo."
Un altra dimostrazione del dualismo la nota l'allievo di Kramskoj, Repin, dicendo che non riusciva a capire come poteva Kramskoj difendere così ardentemente l'ateismo e nello stesso tempo leggere le preghiere di sera con i bambini. Repin si ricorda che rimaneva sempre particolarmente colpito dal tono con cui Kramskoj parlava di Cristo, come se si trattasse di una persona molto intima per lui. Il suo maestro a volte gli raccontava la vita spirituale di Gesù in modo così vivo che nonostante Repin conoscesse la storia di Cristo dall'infanzia, ne rimaneva molto colpito. "Era tutto così nuovo e profondo, interessante ed istruttivo." Sopratutto le lettere di Kramskoj testimoniano la profondità con cui egli si poneva verso Cristo. In una lettera a A. D. ?irkin, Kramskoj scrive che Cristo non sarebbe stato ucciso se avesse solo fatto i miracoli o avesse solo risuscitato i morti, come si diceva di lui, perchè in quell'epoca superstiziosa c'è n'erano di tipi che affermavano anche loro di possedere forze sopranaturali.
Quello che fece Cristo era "molto peggio", esultava Kramskoj, Cristo era venuto a risvegliare la coscienza addormentata degli uomini, pretendeva che essi si comportassero seguendo i principi morali e senza cercare giustificazioni per le azioni immorali dettate della loro imperfezione umana. Quello che fece Cristo, ribadiva Kramskoj, era dimostrare con il proprio esempio che si può essere coerenti, agendo secondo principi morali, anche a prezzo della vita. Quindi nessuna scusa, bugia e ipocrisia possono essere più tollerati. L'uomo dovrà rendere conto delle sue azioni. Per questo era "molto peggio" quello che fece Cristo.