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Martedì 24 Gennaio 2012 10:10

Vysotskij: dalla distribuzione clandestina al successo di massa.

Scritto da  Alessio Lega
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Volodia esiste.

Vysotskij-sigarettaÈ un reticolato di storie d’amore quello che voglio raccontarvi per penetrare l’aura di leggenda che circonda vita e memoria del principe dei bardi russi, Vladimir Vysotskij.

Scontò sulla sua pelle un’ostilità cupa, uno strato di silenzio, terribile quanto quello che subì il suo maestro Bulat Okudžava. Rispetto a Bulat, però, Vladimir era caratterialmente molto meno corazzato per muoversi nel mare ghiacciato in cui la vita lo cacciò. Okudžava era ironico, sfuggente, la sua tensione lirica volava spanne sopra il fango. L’amarezza era parte della sua filosofia di vita, così gli fu più facile conviverci.

Vysotskij era un lottatore, un disperato, un attore che si appassionava a ogni personaggio, che si immedesimava in ogni dramma della vita, in fuga da sé stesso, dal proprio uomo nero. Della vita trangugiava i calici più amari, voleva restare in piedi a tutti i costi sulle macerie, in mezzo al disastro, affrontando la tempesta a capo scoperto. Era un piccolo principe, un bambino, un soldato della poesia.


Una sporca guerra mai dichiarata, ma che in Russia – fra suicidati, fucilati, morti in campo di concentramento, internati nelle cliniche psichiatriche, ha mietuto molte vittime – il potere combatte contro la poesia, contro la follia creativa. Volodja per temperamento più che per ideologia fu sempre in prima linea dalla parte dei poeti.
Era un uomo affamato di vita e votato alla sventura. Visse poco e male, fu alcolista e morfinomane, morì a quarantadue anni. “Canta ancora”, scrisse Okudžava in una dedica privata, scatenando quell’onda d’amore che l’ha reso conosciuto, se non noto, anche in Italia.

Sergio S. Sacchi, una delle anime più colte del club Tenco di Sanremo – cui Okudžava aveva partecipato nel 1985 – andò a salutarlo in una successiva apparizione di Bulat a Torino. In quell’occasione si fece autografare un libro uscito nel nostro paese nel ’72: Canzoni russe di protesta, una fondamentale antologia, organizzata e tradotta dal professor Pietro Zveteremich, coi testi dei 3 bardi Okudžava, Galic e Vysotskij.

 

 

Okudžava, molto sorpreso che un libro del genere esistesse (in Unione Sovietica sarebbe stato impensabile), mise da parte la sua proverbiale discrezione – “Si diventa molto discreti quando si hanno tutti i fucilati e deportati che ha avuto Bulat in famiglia!” ci siamo detti con Sergio – e vi scrisse sopra una commovente dedica, anche a nome dei due poeti morti. Mi racconta Sergio “Lui era l’unico rimasto vivo e parlava anche a nome degli altri due. La cosa mi ha violentemente toccato. Nascono sempre da momenti d’amore le cose. Quella sera sono partito e ho detto: “Cazzo, devo far conoscere questo Vysotskij”.


Partì dunque all’approfondimento di questo personaggio impossibile. Vera anima russa, il folle sacro che scompigliava l’idea di rigore immutabile e impenetrabile che questo immenso paese doveva, per decreto, dare di sé.

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Last modified on Domenica 19 Febbraio 2012 00:33

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