Regista Dziga Vertov (pseud. di Denis Arkadevi? - o Abramovi? - Kaufman; cir. rus. ????? ??????; Bia?ystok, 2 gennaio 1896 – Mosca, 12 febbraio 1954)
Un film straordinario questa pellicola del 1929.
Dziga Vertov mette insieme in una potente alchimia visionaria l'esperienza di anni di documentari di propaganda, le sue radici culturali futuriste, le sue teorie secondo le quali il cinema deve essere uno strumento a servizio del popolo e mette assieme tutto in un capolavoro cinematografico.
Le uniche didascalie presenti nel film sono quelle che do all'inizio, ci informano che questo "diario di un cine-operatore" non ha sceneggiatura né scenografie: è una dichiarazione programmatica quella di Vertov, che chiarisce fin da subito quali sono i principi guida della sua opera, fondata su materiali presi esclusivamente dalla realtà quotidiana.
Con questo film, si mette alla prova il procedimento della scomposizione-ricomposizione della vita (Vertov operava in questo senso fino dal 1918, dal tempo dei primi cinegiornali) ma viene anche "rivelato" al pubblico nella sua essenza e nei suoi meccanismi più reconditi.
"Io sono il cineocchio. Io sono un occhio meccanico. Io sono una macchina che vi mostrerà il mondo come solo una macchina può fare. D'ora in poi vilibererò dall'umana immobilità. Io sono in perpetuo movimento. Io posso avvicinarmi alle cose e ritrarmi da esse, scivolare sotto di loro, entrarvi dentro. Io posso muovermi sul muso di un cavallo in corsa, fendere le folle e a gran velocità, guidare i soldati in battaglia, decollare come un areoplano ....il cineocchio.. include tutti i metodi, senza alcuna eccezione, che permettono di raggiungere e registrare LA REALTA': una realtà in movimento...." (Vertov 1923). | ||
La piccola città di Odessa si sveglia. Si annuncia un giorno come altri... L'uomo con la macchina da presa attraversa la città, con l'apparecchio sulla spalla. Egli afferra il ritmo della città e attraverso di lui si scopre il ritmo nascosto nelle strade che incrocia...
Non ci sono parole e neanche sottotitoli. Il film appare di una ricchezza formale immensa, ed il montaggio occupa un ruolo assolutamente centrale. Il film è il manifesto del kino-glaz e dimostra come, ove si allontani dalla recitazione, il cinema può raccontare la realtà. Il film quindi non ha un soggetto vero e proprio...ma è un tripudio di soggetti che si materializzano in un travolgente caleidoscopio: frammenti di vita....di costume...piccoli avvenimenti...tutti reali.
Ammesso che si possa parlare di generi praticati dall'avanguardia, l'"Uomo con la macchina da presa" appartiene al genere della sinfonia urbana, film in cui le forme astratte dell'architettura, le dinamiche della vita moderna, le geometrie delle macchine sostituiscono la narrazione, coniugando le istanze documentarie di realismo con la ricerca estetica d'avanguardia: l'arte esce dai luoghi istituzionali e si realizza davvero nelle forme dell'esistenza quotidiana.
Il film non ebbe grande fortuna alla sua uscita e dovette subire il giudizio pesantemente negativo di Eisenstein.
Il film è potentemente legato ai movimenti di avanguardia dell’epoca, soprattutto al costruttivismo. E tuttavia appare come documentaristico e sperimentale.
Può essere senza dubbio considerato il manifesto del cinema sovietico di avanguardia.
Molte immagini sono memorabili: l’uomo che passeggia col treppiede della macchina da presa sulla schiena, l’occhio in primo piano inserito in sovrapposizione con quella di un obiettivo fotografico…
La carriera di Dziga Vertov si arresta con questo straordinario film, nonostante lui continui a produrre. Il cinema cambia e Dziga Vertov non trova più lo spazio necessario per far apparire viva la sua sperimentazione.
Il regista era ossessionato dalla interazione...La comunicazione esisteva ed era importante ma la interazione con il fruitore resta un suo sogno cinematografico.
il movimento Kinoglaz I cineasti dell'avanguardia sovietica tentarono di realizzare nel cinema il sogno di un'arte rivoluzionaria e popolare ... Come gli altri registi della avanguardia formalista, anche Dziga Vertov [1896-1954] ... [interpretò] il proprio lavoro come una ricerca sulle possibilità del linguaggio cinematografico ... [affiancando] alla sperimentazione pratica la riflessione teorica, in una serie di scritti, saggi, dichiarazioni ... [Egli passò] alla storia del cinema come il teorico del Kinoglaz, [il] Cineocchio: "Il Kinoglaz, ... "ciò che l'occhio non riesce a vedere", ... il microscopio e il telescopio del tempo, ... il negativo del tempo, ... la possibilità di vedere senza confini né distanze, ... "la vita colta sul fatto" ... non in quanto tale, ma per mostrare gli uomini senza maschera e senza trucco, per coglierli con l'occhio della cinepresa nel momento in cui non stanno recitando, per leggere i loro pensieri messi a nudo dalla cinepresa ... [per Kinoglaz si sottintendono] ... tutti i mezzi cinematografici, tutte le invenzioni cinematografiche, tutti i procedimenti e i metodi capaci di scoprire e mostrare la verità ... Il Kinoglaz come possibilità di rendere visibile l'invisibile, di rendere chiaro ciò che è oscuro, palese ciò che è nascosto, di smascherare ciò che è celato, di trasformare la finzione in realtà, di fare della menzogna verità. Il Kinoglaz come fusione della scienza e della cinecronaca allo scopo di lottare per la decifrazione comunista del mondo, come tentativo di mostrare sullo schermo la verità: la cineverità" [Dziga Vertov - 1924].
[Le ricerche di Vertov si inserivano] in un progetto ambizioso che ... dà la misura del fermento di idee e della fantasia rivoluzionaria dell'ambiente intellettuale sovietico del tempo: Vertov auspicava una "Cinematografizzazione dell'Urss operaia e contadina". Voleva contribuire con i suoi gruppi di Kinoki [i cineocchi] alla formazione e all'insegnamento di un nuovo libero mezzo di espressione, il cinema, attraverso il quale gli operai e i contadini dell'Unione Sovietica avrebbero potuto fissare ed esprimere la propria coscienza della realtà.
E' in questa prospettiva che Vertov realizzò alcune delle più interessanti opere cinematografiche di tutti i tempi.
Tratto da "Andare al cinema"
di Giorgio De Vincenti - Editori Riuniti, 1988
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