Il giorno 21 maggio 2011 l'Associazione Italiana Russisti (AIR) della sede di Treviso ha promosso un incontro dedicato al cinema russo ospitata da Palazzo Bomben della Fondazione Benetton e presieduta da Davide Giurlando, studioso di cinema sovietico e russo e attualmente dottorando presso l'Università Ca' Foscari di Venezia.
All'iniziativa sono stati proiettati e raccontati spezzoni di pellicole dell'intera storia del cinema russo. Quella che segue è un'intervista fatta a Davide Giurlando al termine della sua presentazione volendo cercare risposta ad alcuni quesiti sorti nel corso della proiezione e sperando così di fornire a tutti gli interessati uno spunto di riflessione e di arricchimento su una materia, quella del cinema russo e sovietico per l'appunto, spesso poco conosciuta dal pubblico italiano.
![]() ![]() ![]() ![]() | ||
INTERVISTA:
Seppur con diverse sfumature, mi è parso di notare che la politica abbia sempre occupato un posto rilevante nei film che ci hai presentato: talvolta i registi optavano per uno stile esplicitamente propagandistico (molto probabilmente costretti), altre volte manifestavano dissenso o un senso di profondo pessimismo. Ritieni che i registi russi, nell'esprimere le proprie idee attraverso la propria arte, subiscano un'influenza molto maggiore delle circostanze socio-politiche contemporanee o passate rispetto ai loro colleghi europei?
Dipende da quello che si intende per influenza, e da dove si vuole posizionare il confine tra costrizione e adesione volontaria. Il primissimo cinema russo, prima ancora che Sovietico (parliamo quindi degli anni '10 del '900) era infinitamente meno sviluppato di quanto non lo fossero analoghe opere in Europa e negli Stati Uniti. Se nel 1912 in Italia si era arrivati a produrre un kolossal come Quo vadis? e in America nel 1915 si sarebbe giunti a costruire quella grammatica del cinema moderno che è Nascita di una nazione, in Russia il cinema era ancora a mezza strada tra uno spettacolo da fiera, un'esibizione circense e un'imitazione molto primitiva del cinema americano. Non a caso i primissimi film importanti prodotti in Russia, come Sten'ka Razin del 1908 e Pikovaja dama (la Dama di Picche) di Protazanov del 1916 sono spesso trasposizioni (non sempre particolarmente elaborate) di opere letterarie preesistenti, talvolta l'equivalente di balletti teatrali eseguiti davanti alla macchina da presa, insomma non opere che sfruttino appieno le possibilità del mezzo cinematografico, nemmeno per gli standard dell'epoca. Ovviamente ci sono eccezioni, come i geniali corti di Vladislav Starevi?, eseguiti da pupazzetti di insetti animati a passo uno, però si tratta appunto di casi isolati.
V. Starevi?. Mest' kinomatografi?eskogo operatora (La vendetta dell'operatore cinematografico, 1912)
In realtà le espressioni più ispirate e interessanti del cinema russo nascono appunto in concomitanza con la Rivoluzione, quindi con le grandi sperimentazioni visive di Ejzenštejn, Vertov, Dovženko... In questo senso si può dire che il cinema sovietico sia "compagno" della Rivoluzione, sia perché suo coetaneo, sia perché il cinema, in quanto arte di massa, si prestava particolarmente alla diffusione della propaganda (lo stesso Lenin nel 1922 dichiarò apertamente che il cinema era "la più importante delle arti"), sia perché, essendo un tipo di arte "nuova", si prestava molto bene a descrivere la realtà "nuova" svelata dalla Rivoluzione. Le sperimentazioni visive di Vertov, per esempio nel ?elovek s kinoapparatom (L'uomo con la macchina da presa, 1929) scompongono la realtà come in un caleidoscopio, proprio per coglierne una nuova essenza, come appunto l'ideologia rivoluzionaria intendeva fare con la società...
È bene comunque sottolineare che questi registi, almeno fino agli anni '30, erano in massima parte perfettamente consapevoli e coinvolti dell'ideologia di fondo della neonata Unione Sovietica, e ad essa aderivano volontariamente. Bronenosec Potemkin (La corazzata Potemkin, 1925) non è solo la summa della poetica visiva esasperata ed espressionista di Ejzenštein, ma anche un connubio perfetto, proprio perché compiuto consapevolmente e con partecipazione, tra istanze rivoluzionarie e una narrazione epica e coinvolgente... Anche per uno spettatore di oggi, lontanissimo dall'ideologia degli anni '20, è difficile non simpatizzare per la ribellione dei marinai protagonisti.
S. Ejzenštein, Bronenosec Potemkin (La corazzata Potemkin, 1925)
Tutto questo cambia con gli anni '30, film come ?apaev (Ciapaiev, 1934) dei "fratelli" Vasil'ev e l'imposizione dei canoni del Realismo Socialista: cioè un nuovo tipo di poetica visiva, tesa all'esaltazione acritica ed esemplare degli eroi del Socialismo (eroi anche costruiti a tavolino, come Pavlik Morozov, un quattordicenne che passò alla Storia per aver denunciato il padre, colpevole di aver venduto illecitamente del grano a contadini ricchi, e che fu quindi linciato per punizione dai suoi stessi parenti; la sua storia, o meglio la versione che ne dava il governo sovietico dell'epoca, avrebbe fornito materiale per l'incompleto film Bežin lug di Ejzenštejn).
Man mano che si stringeva la rete della censura staliniana, ogni genere di sperimentazione venne visto con sempre maggior sospetto, e i grandi sperimentatori messi al bando o costretti a lavorare a pellicole più piatte e meno interessanti. La politica sovietica dagli anni '30 praticamente fino alla morte di Stalin nel '53 rappresentò veramente un colpo mortale per il cinema russo: tutte le sperimentazioni vennero accantonate e sostituite da opere via via più pompose, o da musical leggeri, come quelli di Grigorij Aleksandrov, che per quanto divertenti e anche originali avevano la stessa finalità delle opere di propaganda: diffondere una visione leggera e allegra del mondo sovietico, priva di problemi e quindi non suscettibile di critiche. Come recitava un celebre motto staliniano dell'epoca, ripreso infinite volte in canzoni e quadri, "Vivere è diventato più allegro"...
Con qualche piccola eccezione, per esempio l'insorgenza del filone dei film di guerra a conflitto iniziato (è il caso del violentissimo Raduga (Arcobaleno, 1944), di Mark Donskoj, sulle spaventose, e purtroppo spesso reali, sofferenze che i nazisti infliggevano durante l'occupazione), il cinema sovietico diventò via via più smorto fino agli anni '50. Quindi, con la morte di Stalin e il Disgelo, ci fu una vera e propria rinascita, grazie a una nuova generazione di registi (Kalatozov, Danelija, Chuciev...), fra l'altro meno ideologicamente coinvolti degli autori degli anni '20 e più aperti ad altri generi di film. Peccato che con la Stagnazione e l'avvento al potere di Brežnev gran parte di questa esplosione di vitalità venne nuovamente a cadere...
Tornando ai film che ci hai presentato, sono rimasta colpita dalla loro drammaticità, dal tono sarcastico o poetico e mesto che ne traspariva. Considerato che molti di essi appartengono al mainstream, mi sono posta una questione apparentemente banale ma, secondo il mio parere, di un certo peso volendo vedere nella produzione cinematografica di un Paese anche lo specchio della sua società. Il cinema commerciale che ci viene proposto in Italia è prevalentemente Americano, caratterizzato da toni ottimistici, vittoriosi e popolato di eroi "buoni" e forti; il cinema in Russia pare invece seguire le orme dei suoi padri letterari e proporre anti-eroi che ci fanno provare un disagio esistenziale profondo senza lasciare molta speranza per un happy ending. Ti senti in linea con queste mie impressioni? Queste scelte stilistiche influenzano l'audience tratteggiando un certo atteggiamento nei confronti della vita nel proprio Paese, oppure ritieni che avvenga il contrario e cioè che sia il cinema ad essere influenzato dal clima sociale e politico del proprio Paese?
Anche qui, dipende dal momento e dalle circostanze. Nei film "epici" degli anni '20, gli eroi del Socialismo possedevano raramente delle zone d'ombra...
Continua...